Una grande Compagnia composta da 16 attori, tutti eccellenti e condotti dal grande Tato Russo con la regia di Alvaro Piccardi, sta presentando al Teatro Nuovo di Milano soltanto fino al 26 aprile una commedia ironica e sarcastica che il pubblico ha applaudito a lungo. Il Paese degli Idioti è tratto da un romanzo che Dostoevskij scrisse nel 1859; Tato Russo e Piccardi hanno pensato di riprenderlo e trasformarlo una commedia in tre atti brevi che non pesano, grazie alla bravura di tutti nel rendere appassionante la storia e credibili i personaggi. Benché i loro nomi siano rimasti originali, in russo, la lingua tradotta è mezza dialettale: è un’arma usata con chirurgica precisione dal protagonista Fomà Fomic, che usa il proprio eloquio per soggiogare la famiglia che lo ospita in casa, mantenendolo.
Con enorme abilità riesce a imbrogliare anche chi tenta di ribellarsi alla sua arroganza e lo spettatore non può fare a meno di pensare quanto sia insopportabile un tipo simile. Bravissimo Tato Russo e coraggiosa la sua scelta di interpretare il personaggio più odioso, circondato da altri che invece fanno ridere, fanno tenerezza e ci rendono solidali per tutta la durata della commedia contro il terribile Fomic. Voglio citare tutti gli altri straordinari attori: Marcello Romolo è Egor Ilic, il padrone di casa; Gabriele Russo è Serjòza, il suo giovane nipote; Aldo Bufi Landi è Gravìla, un vecchio servo; Christine Grimandi è Anfisa Petròvna, cugina di Egor Ilic; Marina Lorenzi è Tatiana Ivanòvna, l’ereditiera, Annamaria Ackermann è Mammina, la vecchia madre. E ancora: Elisabetta Ventura, Irene Grasso, Francesco Ruotolo, Renato De Rienzo, Massimo Sorrentino, Sofia Rosa Landi, Luigi Cesarano, Massimo Sorrentino e Giulio Fotia. Tato Russo mi riceve in camerino, su un divanetto rosso.
Come vivi questo periodo?
Trovo che i budget non siano rispettosi della dignità di una professione come la nostra. Il Ministero taglia i fondi e i privati si tirano indietro. Il teatro sta diventando come la lirica, una rappresentazione da colossal per pochi fortunati che la capiscono. E, come nella lirica, alla Traviata vanno tutti mentre cose nuove non le vede nessuno. Così il teatro è destinato a morire.
La pensi come Baricco che contesta i sistemi di sostegno per il teatro?
Sono d’accordo con Baricco. Bisogna prendere atto di un fallimento. Il pubblico fisso ha i capelli bianchi e gli abbonati diminuiscono perché muoiono…. Bisogna agire: non dovrebbero proporre le serate per le scuole, dove i ragazzi si annoiano, ma NELLE scuole, facendoli discutere con insegnanti preparati, orientando le spese in altro modo. Il teatro diventa per pochi, ma non dovrebbe essere così.
Anche per te è tutto così difficile?
Le fatiche oggi a portare uno spettacolo in giro sono inenarrabili e neppure si capisce come reagisca il pubblico, che ha un atteggiamento sempre più passivo, forse determinato da troppa televisione. Qui non viene più nessuno e Maria De Filippi raduna 130.000 giovani a Lecce. Ormai reggono solo i grandi nomi, magari senza contenuti, testi maltrattati. Sono tutti tradimenti e la volgarità avanza come i Cavalieri dell’Apocalisse.
Ci parli di questa commedia?
Il mio protagonista, una specie di Tartufo, è un orecchiante di religione, politica e quant’altro, a contatto con una comunità di ignoranti. Riesce a rapinar loro la coscienza: tutti diventano idioti davanti a lui. Siamo nella Russia dell’800 e ho voluto un’ambientazione ottocentesca ma con parlata simil-lucano, per dare l’idea della differenza anche linguistica tra i personaggi, in modo che la retorica del protagonista avesse un peso maggiore. L’ha voluta anche Piccardi, il regista. Ci sono il dialetto, lo slang e la lingua alta della poesia.
Che accade?
Il protagonista racchiude aspetti occulti e manifesti di tutti quelli che ci vogliono manipolare. C’è un conformismo che cerca di apparire ribelle ma è solo opportunismo. Alla fine si liberano di lui e il pubblico applaude in modo liberatorio. E’ difficile fare personaggi così odiosi, è spiacevole stare alle costrizione dell’autore e del regista, ma non posso lamentarmi più di tanto visto che l’ho scelto io.
Siete tutti bravissimi, non essere modesto. C’è un messaggio?
E’ un invito a liberare la propria coscienza e a impadronirsi della propria libertà di critica, capire i linguaggi subliminali della pubblicità, degli opinionisti, dei preti laici. E’ questo quanto il pubblico dovrebbe capire. Lo spettacolo è grottesco, comico e anche irritante e inquietante: il modo in cui non ci si ribella ricorda un mondo vissuto sotto il dominio della coscienza, tipico dei grandi tiranni, dei dittatori nella storia dell’umanità.
Speri che la gente ti capisca fino in fondo?
L’artista deve rappresentare, non imporre, perché ognuno deve poter trarre le proprie conclusioni. Io sono legato all’umanesimo, ecco perché non condivido Brecht quando pretende di denunciare e insegnare la verità. Io preferisco usare la realtà, sono per un teatro di emozione, di inquietudine e lo spettatore deve comprendere da solo cosa trovare in una rappresentazione, senza pretendere che sia quella a indicare la soluzione.
Tu sei sempre felice di svolgere questo mestierem nonostante le difficoltà?
I teatranti sono le persone più pulite che esistano: vivono di poco e hanno voglia di comunità, questo lavoro si fa anche per questo. La compagnia dà un senso alla nostra vita. E’ quella la vita.
Teatro